Locri
"A Locris Italiae frons incipit, Magna Graecia appellata" - Da Locri ha inizio la fronte dell'Italia, chiamata Magna Grecia - (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia III 95)
La colonia magnogreca di Locri Epizefiri fu fondata verso la seconda metà del VII sec. a.C. da coloni provenienti dalla Locride Opunzia o dalla Locride Ozolia. Fu la prima città d'Europa ad avere un codice di leggi scritte, che la tradizione attribuisce a un forse mitico Zaleuco, ed un importante centro culturale e artistico. I colonizzatori di Locri si stabilirono prima al capo Zefirio, così chiamato perché formava un porto al riparo dei venti dell'Ovest, e vi restarono tre o quattro anni. Poi con l'aiuto dei Siracusani e la collaborazione dei Tarantini, stabilirono la loro città un po' più a nord, sulle pendici della collina Epopi.
In poco tempo Locri divenne potente ed ambiziosa e si scontrò con la città di Crotone nella celebre battaglia della Sagra (seconda metà del VI sec. a.C.).
Locri ne usci straordinariamente vincitrice: 10.000 Locresi contro 130.000 Crotoniati.
È probabile che a decidere le sorti della battaglia sia stato il diverso assetto dei due eserciti: ben armato e disciplinato quello Locrese; forte numericamente ma male organizzato quello Crotoniate. Una vittoria talmente straordinaria che si creò intorno alla battaglia una leggenda: Giove, prendendo le sembianze di un'aquila, non cessò mai di volare intorno ai combattenti Locresi, ed i Dioscuri agirono direttamente nelle loro file.
Successivamente Locri si alleò con Dionisio I di Siracusa contro Reggio. Riusci ad ottenere il possesso di Caulonia, Skylletion, Hipponium (Vibo Valentia)e Medma. Nel 356 a.C. Dionisio II, allontanato da Siracusa, si rifugiò a Locri e si impadronì del potere della città. Ciò generò una rivolta dei cittadini Locresi che portò allo sterminio della sua famiglia e all'istituzione di un governo democratico.
La città cominciò a decadere sotto Pirro, che si impadronì del tesoro gelosamente custodito nel santuario di Persefone. Passò sotto l'influenza prima romana e poi cartaginese, fu presa in seguito da Scipione nel 205 a.C. e rasa al suolo secoli dopo dai Saraceni, gli abitanti della città trovarono rifugio nella vicina Gerace. Nel 1875 fu costruita la ferrovia ionica la città divenne frazione di Gerace col nome di Gerace Marina e successivamente assunse il nome di Locri.
"La leggenda narra che quando i coloni greci arrivarono sul luogo, questo era già frequentato da popolazioni indigene, i Siculi.
Il territorio fu dai nuovi venuti occupato con l'inganno. Fra i due popoli era stato fatto un accordo: avrebbero dovuto convivere in amicizia e occupare in comune il territorio, finché avessero calcato la stessa terra e portato la testa sulle spalle.
Ma i Locresi, prima di prestare giuramento, si erano messi della terra nei calzari e avevano nascosto delle teste d'aglio sulle spalle; quindi a giuramento avvenuto, tolsero la terra dai calzari e si sbarazzarono delle teste d'aglio, e alla prima occasione allontanarono gli abitanti dal paese".
Le rappresentazioni teatrali ebbero origine nell'Attica, in stretta connessione col culto di Dioniso. Anticamente erano delle processioni religiose dove i coreuti, disposti in circolo, con il corifero al centro, che rappresentava il dio, pregavano, cantando e invocando la leggenda mitica di Dioniso.
Dal ditirambo lirico si passò al ditirambo dialogato, cioè il dialogo cantato tra il corifero e i coreuti venne sostituito da un dialogo recitato.
Innovazione significativa, introdotta secondo la tradizione da Tespi, fu l'inserimento di un terzo attore nella rappresentazione. Nacque così il dramma.
L'antica origine religiosa delle rappresentazioni, strettamente associate alle feste all'aria aperta, ha determinato la struttura non coperta dell'edificio e il suo stretto legame con il paesaggio.
All'ingresso del teatro vi si accalcavano uomini, donne, bambini; anche agli schiavi era permesso assistere allo spettacolo. Il pubblico acquistava il biglietto, consistente in un gettone di bronzo o di cuoio, poiché il prezzo variava a seconda dell'ubicazione dei posti. Gli spettatori pagavano estraendo le monete dalla bocca, così portava il denaro il "popolino", mentre i poveri avevano il diritto di entrare gratis.
Le gradinate delle prime file, erano riservate alle personalità eminenti e d'alto rango: sacerdoti, magistrati, politici.
L'edificio era semicircolare, non coperto; vi sono spazi distinti, riservati al pubblico, al coro e agli attori: il theatron (la cavea) l'orchestra e la skene, preceduta da avancorpi laterali, chiamati proskenion e paraskenion. La cavea si appoggiava ad un pendio naturale ed era attraversata verticalmente da scalette che la dividono in più settori (i primi teatri greci avevano una struttura lignea; successivamente dal IV secolo a.C. furono costruiti in pietra e in marmo).
Lo spazio destinato al coro aveva forma circolare; qui risiedeva l'orchestra che aveva un 'importanza fondamentale nella rappresentazione dei drammi. I musicisti, formatisi nella celebre scuola Locrese, con i loro strumenti, cetre, flauti, timpani trombe e oboi, aprivano lo spettacolo. Si restava stupiti dalle splendide scenografie, con piattaforme girevoli su pali, ricchi tendaggi, e trucchi illusionistici.
Gli attori entravano, abbigliati con chitoni sontuosi e lunghi fino alle caviglie, con maniche che coprono interamente le loro braccia robuste. Si trattava di un trucco scenico, di un piccolo stratagemma, che permetteva agli istrioni, rigorosamente uomini, di interpretare anche i ruoli femminili. Oltre al vistoso abbigliamento i personaggi indossavano maschere di terracotta e calzari con tacchi molto alti.
Gli attori si posizionavano sul palco posto al centro e rialzato per permettere agli spettatori delle ultime file dì godersi il dramma. Erano in tre ed interpretavano più parti. Il ruolo più ambito era quello del protagonista (primo attore), seguito dal deuteragonista (secondo attore) e dal tritagonista (terzo attore e comparsa).
La tragedia più in voga era dell'Edipo Re:
"Edipo uccide senza saperlo il padre Laio e sposa a sua insaputa la madre Giocasta. Diviene sovrano di Tebe, ma una pestilenza affligge la città. Il re consulta un indovino, viene svelata l'atroce verità: si scopre parricida e incestuoso e dalla disperazione si acceca."
La scena violenta, come in tutte le tragedie greche, non veniva rappresentata, ma era raccontata dall'attore. Improvvisamente un uomo dalla cavea si alzava in piedi, interrompeva lo spettacolo chiedendo di ripetere l'ultima battuta, ma il pubblico di solito non faceva caso, poiché ciò accadeva usualmente.
Alla fine della rappresentazione veniva votata dai giudici con un sistema complicato a doppia estrazione per evitare scorrettezze e tentativi di corruzione.
I testi e i costumi della commedia erano assai diversi dalla tragedia; venivano messi alla berlina i vizi degli eroi e delle divinità dell'Olimpo. Il testo sconfinava nel grottesco e nella parodia.
Rappresentate diffusamente in Magna Grecia, erano definite da Orazio "l'italicum acetum''. I Phlyakes, attori comici, indossavano finti ventri, buffi e imbottiti costumi, e per suscitare le risa del pubblico mostravano una finta nudità. La parola Phlyax indicava anche questo genere teatrale e prende il suo nome da una popolare figura del corteggio dionisiaco.
In Magna Grecia sono emerse numerose testimonianze di tali drammi riprodotti su vasi, detti fliacici, (alcuni attualmente custoditi al Museo Nazionale di Taranto).